La tinca Tinca tinca (Linnaeus, 1758) vive in acque ferme con un substrato argilloso o fangoso ed una vegetazione abbondante.
E’ moderatamente fotofoba attiva per lo più di notte, pigra durante le ore di pieno sole mentre si muove volentieri quando il sole é calante si nutre di animali bentonici ma è onnivora ha una bocca piccola e possiede un barbiglio per angolo .
E’ simile ad una carpa più piccola con scaglie molto piccole molto appiattite di colore verde oliva con sfumature dorate il dorso è di colorazione bruna, che la rendono riconoscibile ed una superficie viscida ricoperta di muco. Vive sui fondali di ghiaia o fangosi con vegetazione preferisce acque ferme o a corso lento.
La tinca sopporta carenze d’ossigeno tanto da resistere fuori dall’ acqua anche per qualche ora (in presenza di umidità elevata).
E’ un pesce gregario in piccolo branchi stanziali.
In inverno sta quasi in letargo nel fango
La frega avviene per lo più in estate vive mediamente dai 10 ai 20 anni.
Tollera l’acqua anche poco ossigenata resiste anche a temperature di poco superiori ai 37°C e tollera acque leggermente acide popolando ambienti proibitivi per altre specie. Per questo nei tempi passati era uno dei tipici “pesci da cascina”, che, venivano allevati, nelle fattorie in stagni ad uso familiare anche perchè la caratteristica delle sue carni ben si adatta alla conservazione in carpione. Venivano pescati in autunno prima del letargo e conservati in vasi con la tecnica del carpione. Anche oggi è spesso introdotta nei laghetti perché come un pesce si comporta in modo tranquillo e nelle ore notturne e crepuscolari si intana si nutre di alghe, residui di vegetali, insetti acquatici, larve contribuendo alla pulizia del laghetto.
È un pesce generalmente non molto apprezzato per il gusto fangoso anche se il sapore non è dato dal fango ma una particolare alga. Nei territori lacustri esiste la tradizione veneta e lombarda (in particolare del lago di Garda e di Iseo) del risotto alla tinca e della tinca al forno ripiena . Gli abitanti lacustri la sanno preparare lasciandola spurgare alcuni giorni in acqua fresca corrente per poi servirla come specialità al forno o condimento per primi piatti. Il sapore di fango è in realtà legato a cianobatteri. Nell’ acqua con scarso ricambio proliferano la alghe verdi-blu che formano dei filamenti nell’acqua. Questo ambiente facilita la crescita dei cianobatteri che producono la geosmina; attraverso la respirazione la geosmina si fissa nel tessuto muscolare dei pesci provocando il gusto di fango .
La geosmina viene decomposta da prodotti acidi come l’aceto, quindi la frittura e la conservazione in carpione costituiscono una valida alternativa per gustare la tinca.
Così le “tinche in carpione” sono entrate nelle cucine povere da secoli fino ad entrare nella schiera degli antipasti piemontesi. Il pesce in carpione ha finito poi per identificarsi con la “trota in carpione” ma fino agli anni ’70 non c’era gastronomia rinomata a Torino che non vendesse anche le tinche, in carpione.